#23 - L'orologio nella letteratura


Due testi poetici, uno appartenente alle composizioni rarefatte del Barocco, l’altro che attinge alla vena parodico-musicale della tradizione romanesca.


Ciro di Pers (1599-1663)

Orologio da sole
Con l'ombra sua del Sole i giri immensi
misura un lieve stile al Sole esposto,
e ben di questo di, che muore si tosto,
l'ore con l'ombra misurar conviensi.

Di quell'ombra al girar forz'è ch'io pensi
che con suoi passi al tumulto m'accosto;
né m'è il tenor di quelle note ascosto:
parlan del mio morir con chiari sensi.

Saette son ch'avventa arco di morte
quelle linee ch'io miro, e 'n van riparo
di tempra oppongo adamantina e forte.

A lo splendor del Sol veggio più chiaro
che del giorno vital l'ore son corte;
e ch'io son vanità da l'ombra imparo.

Ciro di Pers, dalla raccolta postuma “Le poesie”, 1666: la lirica ci fa conoscere il fascino luttuoso dell’ombra che dispensa, insieme, orrore e silenzio. Il tempo diventa incessante manifestazione del buio. Con il richiamo, in conclusione, al contrasto geometrico sole e notte. Affascinante e crudele nell’assoluta assenza di suono.

Trilussa (1871-1950)

L'orloggio cór cuccù 
È un orloggio de legno
fatto con un congegno
ch'ogni mezz'ora s'apre uno sportello
e s'affaccia un ucello a fa' cuccù.
Lo tengo da trent'anni a capo al letto
e m'aricordo che da regazzetto
me divertiva come un giocarello.
M'incantavo a guardallo e avrei voluto
che l'ucelletto che faceva er verso
fosse scappato fòra ogni minuto...
Povero tempo perso!
Ogni tanto trovavo la magnera                                            
de faje fa' cuccù per conto mio,
perchè spesso ero io
che giravo la sfera,
e allora li cuccù
nun finiveno più.                                                        

Mó l'orloggio cammina come allora:
ma, quanno vede lo sportello aperto
co' l'ucelletto che me dice l'ora,
nun me diverto più, nun me diverto...
Anzi me scoccia, e pare che me dia
un'impressione de malinconia...
E puro lui, der resto,
nun cià più la medesima allegria:
lavora quasi a stento,
o sorte troppo tardi e troppo presto                            
o resta mezzo fòra e mezzo drento:
e quer cuccù che me pareva un canto
oggi ne fa l'effetto d'un lamento.
Pare che dica: - Ar monno tutto passa,
tutto se logra, tutto se sconquassa:
se suda, se fatica,
se pena tanto, eppoi...
Cuccù, salute a noi!

Trilussa, dalla raccolta “Le storie”, 1913: una filastrocca melodica e un po’ triste che cuce i tempi della vita. L’infanzia con la gioia del suono de “l’ucelletto” e la maturità avanzata, fatta di stanchezza del poeta e dell’orologio. Una metafora romanesca del prima e del poi, bloccati dal movimento del meccanismo, fermo, muto, sull’ultimo cucù.



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