#25 - L'orologio da parete a casa
La
storia degli orologi di casa, dell’orologio normalmente più bello e/o
importante, occupa un posto di indiscutibile rilievo nelle vicende, anche
avventurose, dei cambiamenti di domicilio, delle ricerche epiche delle pareti
adatte ad ospitarne e comprenderne la ticchettante presenza. L’orologio
dell’immagine non è originale, è il fratello minore, non per formato ma per
età, di un altro più remoto, scomparso in uno dei trasferimenti della mia
famiglia. Il nome, svelato dal marchio di fabbrica, è suggestivo: Junghans, a ricordare la perenne
freschezza e giovinezza del movimento. E’ anche il segno di appuntamenti
ineludibili, almeno uno a settimana, di solito domenica, nei quali si ridà vita
ed energia ritmata al meccanismo con una chiave di ricarica di metallo. Potrebbe
sembrare un oggetto misterioso ma, forse, è solo riservato nel nascondere la
sua anima di pendolo in un cofanetto poligonale di legno, neanche a dirlo
sonoro, come il legno di un raffinato strumento musicale.
Più
vicino alle necessità quotidiane, l’orologio della cucina, una vita elettrica
alimentata da una batteria nascosta. Un mostro. Per tutti gli anni del liceo,
con la sua presenza sinistra, con il suo colore nero, ogni mattina mi ricordava,
ansiogeno, che dovevo fare in fretta,
esattamente come la voce di mia madre che, in modo speculare, scrutando le sue
lancette iperdinamiche, invocava lo stesso dinamismo nel mio presentarmi in
aula.
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